Gelato, sorbetto o granita? Nell’inizio estate con caldo record è la granita il refrigerio goloso più richiesto. Basata principalmente su due ingredienti, acqua e frutta fresca, con aggiunta di zucchero in proporzione del tipo di frutta usata, è di fatto una bevanda ghiacciata, un dolce al cucchiaio di origine siciliana. Nel sorbetto, poco più zuccherino e calorico, la proporzione acqua e frutta è in genere invertita, quanto al gelato latte, zucchero, panna, uovo, frutta e aromi vari compongono quello artigianale, dunque decisamente più ricco e impegnativo da un punto di vista nutrizionale.
Racconta la tendenza granite Eugenio Morrone, campione del mondo, maestro gelatiere calabrese trapiantato a Roma. “Stiamo assistendo ad un impennata di consumi di granita che è rinfrescante, dissetante e con poche calorie. Solitamente in un piccolo spazio nel bancone gelati ora il reparto granite si è fatto largo un po’ ovunque. Nelle nostre due gelaterie a Roma – a Trastevere e a Piazza Roberto Malatesta – la proponiamo con una consistenza morbida al palato con cristallo di ghiaccio tenero e rigorosamente senza aria, alla messinese. Tra i gusti: pistacchio, cacao e cannella, cioccolato, mandorle grezze, i classicissimi limone e fragola, caffè, la frutta di stagione gelso, anguria, e pesche e come novità la prugna”.
Le origini della granita
La granita in Sicilia è un rito, che affonda le sue radici nella dominazione araba, poi evolutasi, soprattutto nel versante orientale dell’Isola, in un raffinato prodotto dolciario che acquista, via via che si percorre la costa e nelle diverse province, determinate variazioni aromatiche.
Il rito si celebra a colazione, pranzo, nel pomeriggio, o a cena, accompagnando la granita con una brioche calda, o come accadeva all’origine, con un fragrante panino appena sfornato.
Come quello del tè in Cina o in Gran Bretagna, il rito della granita siciliana (tutt’oggi inimitabile e ben diversa dalla grattachecca romana, dal sorbetto o dalla cremolata), per essere gustato appieno, ha i suoi tempi lenti, si consuma seduti a tavolino magari osservando le bellezze architettoniche della storia della Sicilia.
Insomma la granita può essere uno dei motivi, evidentemente non l’unico, per visitare l’isola. Ma quale è la sua origine? Ecco cosa si legge sul sito dedicato ( Nivarata.it) sul festival che si svolge ad Acireale a maggio e che ha reso la granita siciliana artigianale un’icona riconoscibile della Sicilia, frequentato da 100mila persone ogni anno.
Fin dal Medioevo, in Sicilia esisteva la professione dei “nivaroli”, cioè quegli uomini che d’inverno si occupavano di raccogliere la neve sull’Etna, sui monti Peloritani, Iblei o Nebrodi, e tutto l’anno, si occupavano di conservare la neve nelle “neviere”, preservandola dal calore estivo, per poi, come nel caso dei “nivaroli dell’Etna”, trasportarla sino in riva al mare nei mesi di maggiore arsura.
Ancora oggi, su alcuni monti, si possono trovare le buche usate per la conservazione del ghiaccio, rifinite con mattoncini o pietra.
Tra i nobili delle famiglie patrizie, con l’avvento delle calde temperature estive, era consuetudine comprare la neve dell’Etna raccolta d’inverno dal “nevarolu”, e farla conservare in apposite “case neviere” in vista della stagione estiva. Queste neviere private, ad uso domestico, erano ubicate in anfratti naturali e in luoghi particolarmente freschi, per riparare la neve dal caldo e conservarla più a lungo. La neve veniva grattata e utilizzata nella preparazione di sorbetti e gelati da degustare nei momenti di calura, versandovi sopra spremute di limone o sciroppi di frutta o di fiori.
La granita veniva preparata in diversi gusti, con il caffè e con i limoni, gelsi e mandorle della zona. Nel territorio acese oltre alla coltivazione dei limoni e dei gelsi, sulla “timpa Falconiera” di S.Tecla (Acireale) esistevano nell’800 vasti mandorleti..
Questa preparazione (che sopravvive ancora nella preparazione della “grattachecca” romana), era diffusa ancora fino al primo Novecento con il nome di “rattata” (grattata).
Durante il XVI secolo, si apportò un notevole miglioramento alla ricetta dello “sherbet”, scoprendo di poter usare la neve, mista a sale marino, come espediente per refrigerare. La neve raccolta passò così da ingrediente a refrigerante. Nacque il “pozzetto”, un tino di legno con all’interno un secchiello di zinco, che poteva essere girato con una manovella. L’intercapedine veniva riempita con la miscela di sale e neve chiusa da un sacco di juta arrotolato e pressato. La miscela congelava il contenuto del pozzetto per sottrazione di calore, e il movimento rotatorio di alcune palette all’interno impediva la formazione di cristalli di ghiaccio troppo grossi.
La preparazione della granita siciliana è unica e riesce a dare una consistenza “a fiocchi” al prodotto finito.
Impalpabile al palato essendo a base di acqua, zucchero e frutta, la granita così preparata ha soppiantato nei secoli la “rattata”.
Nel corso del XX secolo, nella formula moderna della “Tradizionale Granita Siciliana” mentre la neve è stata sostituita con l’acqua ed il miele con lo zucchero, il pozzetto manuale raffreddato da ghiaccio (o neve) e sale, grazie alla tecnologia del freddo (mantecatore), è stato sostituito dalla gelatiera, consentendo di produrre quell’inconfondibile impasto cremoso, privo di aria e ricco di sapore che, grazie alle sue peculiari caratteristiche, è conosciuto e vantato nel mondo con il nome di “Granita Siciliana”.
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