“Dobbiamo ribadire che la supplementazione di vitamina D in soggetti carenti, ovvero con un dosaggio ematico al di sotto dei 20 nanogrammi per millilitro (o 50 nanomoli per litro), può determinare un grande beneficio. La soglia indicata come sufficienza è un ottimo riferimento per sapere se è il caso di supplementare o meno, ma in alcune categorie a rischio, come gli anziani, è bene sempre pensare a una supplementazione poiché la produzione endogena è chiaramente insufficiente già a partire dai 65 anni, specie nei mesi invernali”. Così Maurizio Rossini, ordinario di Reumatologia, Università degli Studi di Verona dal palco del 59.esimo congresso della Società italiana di reumatologia (Sir) in corso a Rimini, durante la sessione dedicata alle malattie metaboliche dello scheletro in cui si è parlato di Vitamina D.
La rivista scientifica New england journal of medicine (Nejm) – è stato ricordato nelle diverse relazioni – ha pubblicato recentemente uno studio (Vital) che ha valutato gli effetti della supplementazione con vitamina D nella riduzione del rischio di fratture, ma in soggetti in gran parte non carenti e non osteoporotici. Le conclusioni dello studio, sulla sostanziale inutilità del farmaco per la riduzione del rischio di frattura, hanno avuto una rilevante risonanza a livello mediatico, generando non poca confusione. “Questo studio non è assolutamente adattabile a soggetti che sono carenti di vitamina D, specie se anche osteoporotici – chiarisce Rossini – nei quali metanalisi di diversi studi hanno confermato che la supplementazione con vitamina D, specie se associata a un adeguato introito di calcio, riduce il rischio di qualsiasi frattura, in particolare di quelle di femore. Quindi, lo studio in oggetto, che ritengo francamente poco utile per questo obiettivo, ha solo dimostrato una cosa ovvia: se non sei carente non hai bisogno di supplementazione di vitamina D per prevenire le fratture”.
Dallo stesso…
Fonte www.adnkronos.com 2022-11-26 11:50:00