Riace: Cassazione, Lucano consapevole illegalità delle sue condotte
Il sindaco (sospeso) di Riace Mimmo
Lucano era “pienamente consapevole della illegalita’ di alcune
sue condotte finalizzate ad ‘aiutare’ extracomunitari”. Lo
scrive la Cassazione, nelle motivazioni della sentenza,
depositate oggi, con la quale il 21 marzo scorso ha deciso di
revocare l’obbligo di firma a cui era sottoposta la compagna di
Lucano, Lemlem Tesfahun.
“In termini esaurientemente congrui e
logicamente ineccepibili”, scrive la sesta sezione penale del
‘Palazzaccio’ (che non ha ancora depositato le motivazioni
della sentenza con cui alla fine di febbraio, dispose un nuovo
Riesame sulle esigenze cautelari per il sindaco di Riace), il
tribunale del Riesame di Reggio Calabria, lo scorso 16 ottobre,
“ha desunto” da intercettazioni e indagini di polizia
giudiziaria “l’esistenza di una ramificata attivita’
formalmente lecita, gravitante intorno al fenomeno della
protezione internazionale per gli stranieri richiedenti asilo e
per i rifugiati, nell’ambito della quale risultano commessi
alcuni reati, probabilmente commessi per finalita’ moralmente
apprezzabili ma formalmente integranti gli estremi di illecito,
connessi alla creazione di situazioni apparenti finalizzate
alle celebrazioni di ‘matrimoni di convenienza’ o ‘di comodo’
tra italiani e straniere allo scopo di permettere a
quest’ultime di trattenersi in Italia”, nonche’ “l’esistenza di
una intensa relazione sentimentale tra i coimputati Lucano e
Tesfahun, che li aveva portati a concordare la specifica
iniziativa criminosa oggetto del presente procedimento”, ossia
quegli atti “diretti a procurare – secondo l’ipotesi
accusatoria – illegalmente l’ingresso in Italia” del fratello
della donna “mediante falsa documentazione attestante un
matrimonio con la predetta”.
Secondo la Corte, Lucano aveva “condiviso tali sue
iniziative anche con Tesfahun, rilasciando una attestazione
comunale nella quale era stata omessa l’indicazione del suo
stato di coniugata che sarebbe servita alla donna per recarsi
in Etiopia per acquisire la documentazione relativa ad un
fittizio matrimonio con il fratello, gia’ coniugato con altra
donna in quel paese, necessaria per permettere a questi di
entrare in Italia”, un programma “poi non portato a termine a
causa dell’intervenuto arresto dell’uomo, perche’ trovato in
possesso di documenti falsi relativi appunto a quel matrimonio
– si legge ancora nella sentenza – cosa che aveva spaventato
anche l’indagata, che aveva temuto di essere arrestata”.
Alla luce di cio’, e’ “irrilevante”,
osserva ancora la Cassazione condividendo le conclusioni del
Riesame, che “Lucano si fosse chiesto come mai Tesfahun
risultasse essere sposata”, come emerge da un’intercettazione,
“poiche’ cio’ che conta e’ che tale circostanza fosse stata
annotata nei registri dell’ufficio anagrafe di Riace e che il
sindaco la fece abusivamente cancellare, con la consapevole
complicita’ della stessa donna, per permetterle di celebrare un
fittizio matrimonio all’estero e cercare di far entrare con lei
il germano in Italia”. Quanto, invece, alla misura
dell’obbligo di firma che era stato imposto alla compagna di
Lucano, la Cassazione osserva che “tale scelta” per un “isolato
episodio” di reato “dimostra palesemente la totale mancanza di
adeguatezza di quella misura rispetto a un bisogno di cautela,
invero rappresentato in termini di scarsa concretezza”. Da qui
l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza del Riesame sul
punto e la cessazione dell’efficacia della misura cautelare per
Lemlem Tesfahun. (AGI)